venerdì 8 aprile 2016

Quel ritmo che corre veloce nella rete – Intervista a Zeca Baleiro


Compositore, cantante, cronista, Zeca Baleiro è una delle voci più originali del ricchissimo arcipelago delle musiche brasiliane degli ultimi anni. Attivo in maniera professionale ormai dal 1997, fa parte di quella generazione di passaggio fra l’epoca dei grandi interpreti ben proiettati sulle scene internazionali degli anni 60 e 70, e i giovani che viaggiano velocissimi sulla rete. Dal profondo Nordeste alla futuribile São Paulo, ci ha raccontato un po’ della sua traiettoria, dalla passione per le musiche dei ciechi alle novelas della Rede Globo, all’impegno con la sua etichetta discografica, alla valorizzazione e alla scoperta di quanto anticonvenzionalmente batte forte nella canzone brasiliana. Lo scorso mese è stato pubblicato un disco dal vivo, Ao vivo – Calma aì coraçao, mentre in questi giorni vede la luce in Brasile un libro, A Rede Idiota, che raccoglia una serie di articoli su argomenti vari da lui pubblicati su quotidiani e riviste.

zeca

Sono stato in Portogallo, Germania, Francia, Spagna, Olanda, del “blocco” di Paesi che hanno una relazione culturale con il Brasile, mancava solo l’Italia: è stato per caso, per una serie di circostanze. Ho sempre avuto grande curiosità per l’Italia, ma non è capitato. Quando sono stato chiamato per il Festival nel settembre scorso, tutto quello che sapevo mi era stato detto dagli amici che ci erano già stati, gli italiani che vivono a São Paulo, come me. Artisti come Chico Buarque, o Toquinho, hanno una relazione profonda con l’Italia, ci hanno vissuto negli anni 60, trasmettendo molte informazioni, ma sono passati 50 anni, e sarebbe meglio per gli italiani che amano la musica e per gli artisti della nuova generazione che si compisse questo transito. La visione che si ha in Brasile della musica italiana è molto distorta, c’è molto mainstream: Zucchero, Ramazzotti, la Pausini. Nel mio show ho usato Sapore di sale per scherzare con questo aspetto della nostra cultura: sono canzoni che hanno abitato molto il nostro immaginario, durante la mia infanzia, l’adolescenza, c’era molta musica italiana in tutti gli angoli del Brasile, nel Maranhão dove vivevo.

Il Maranhão, il Nord del Paese, è un posto dimenticato dai media, dalla stampa… Tu hai rifiutato l’offerta di assessorato alla cultura dello Stato.

Il Maranhão è ricordato solo per gli aspetti negativi: la violenza, le aggressioni. Quella dell’assessorato era un’idea ben sciocca. Io faccio musica, preferisco fare politica aggregando le persone, contaminandone le idee, contagiandole con le mie idee. Purtroppo la politica in sé ha finito per essere associata a un affare sporco, al marciume, alla corruzione, non mi piacerebbe vedermi associato a questo. Ho già sostenuto dei politici con la mia immagine pubblica, ma me ne sono profondamente pentito, e non lo rifarei.

C’è stata una polemica riguardante una musica del tuo ultimo disco, nella quale dicevi che Caetano Veloso non può essere l’arbitro delle arti.
Io adoro Caetano Veloso, come Gilberto Gil, Milton Nascimento, e sono naturalmente influenzato da quanto hanno fatto. Quello che a me sembra un abuso di potere è che dall’alto della sua autorità di grande maestro decida cosa è buono e cosa no. E’ molto paternalista, non mi sembra onesto. Chico Buarque non lo fa, fa le sue cose, i suoi show, mentre Caetano è diventato ossessivo con questa storia, politicamente ossessivo. Ciò non toglie che la loro generazione, quella degli anni 60, è probabilmente ancora la più brillante della musica brasiliana. Penso a Edu Lobo, Tim Maia, Geraldo Vandré. E’ una questione di marcare il territorio, come un leone, un “leaozinho”.. la mia è una critica politica, non artistica. Gli ho anche scritto a proposito di questa polemica, mi ha risposto con molto affetto, ogni volta che ci incontriamo è un incontro molto affabile. Anche Nelson Motta, che è un uomo molto brillante, fa lo stesso, decreta cosa è buono e cosa no, chi vale e chi no… ma chi li ha investiti di questa carica? Lo trovo irritante, perché si finisce col condannare artisti buoni, interessanti.

Sembra che il Brasile viva una grande primavera artistica: è solamente un’impressione, una faccenda mediatica o è davvero così?

Non è solo una questione di media, c’è una grande produzione, artisti che i media abbracciano e altri che restano ignorati, soprattutto se geograficamente periferici, lontani da São Paulo. Nel Maranhão c’è un panorama culturale e musicale ricchissimo che ancora non è arrivato ai media. Artisti che iniziavano quando ho lasciato lo Stato. Ma come ovunque, i grandi media sono parziali. Quello che succede in questo momento particolare, è l’unione della grande produttività che c’è sempre stata in Brasile, con l’accesso ai mezzi tecnologici, e alla possibilità di diffusione, di comunicazione. Quando io ho cominciato, registravo in audiocassetta, oggi chiunque registra, colloca in rete, e con un click si ottiene una qualità professionale. Qualcosa inimmaginabile 25 anni fa.

C’è un supporto del governo alle politiche culturali?

Ci sono delle cose, è stato di recente votato un provvedimento che elimina l’imposta sulla produzione dei cd, che era molto cara. La produzione è molto cara, ci sono le lobbies della zona franca di Manaus, intrecci di interessi politici. Malgrado la crisi del disco, questo è un mercato ancora molto redditizio. Ma una cosa è la produzione culturale, e diverse sono le politiche culturali. Dalla gestione di Gil, che non toccò temi che andavano affrontati, come la Ecad e i diritti d’autore, la diffusione radiofonica con le “mance” e le prebende, pure si sono fatti passi avanti, cui hanno poi dato seguito Juca Ferreira e ora Marta Suplicy (i successivi ministri della cultura – NdT). I “Pontos de cultura” che il governo Lula ha diffuso nelle zone più povere del Paese sono una cosa incredibile, che continuano a generare cultura, e cultura locale. Ora ci sono i “vale cultura”, biglietti per assistere agli spettacoli che vengono dati a operai, impiegati, e sui quali ci sono tante polemiche, come è stato per la “Bolsa Familia” (un programma introdotto da Lula nel 2003, del tipo conditional cash transfer: piccole somme di denaro alle famiglie più povere a patto che queste rispettino alcune condizioni, come l’ accesso regolare a servizi sanitari e scolastici . Esteso su 5.565 municipalità è arrivato a coprire nel 2011 13,4 milioni di famiglie con un budget di 11,4 miliardi di dollari – NdT) che si diceva andasse a gente che non ne aveva bisogno. Ma, aldilà delle polemiche, se qualcuno può avere dei biglietti per assister a spettacoli culturali, credo sia sempre positivo. Se poi quel biglietto viene utilizzato per Tchaikovsky o per un baile funky, questo è un problema di chi va allo show.

a rede idiota

Come è stata la tua crescita artistica, il tuo sviluppo dall’embolada (un ritmo nordestino che unisce poesia e musica) tanto presente nei primi lavori alla musica che fai oggi?

Sono nato a São Luís, la capitale del Maranhão, per caso, la mia famiglia abitava in una città dell’interno a due ore di distanza, su un fiume attraverso il quale arrivarono molti arabi, libanesi e siriani. C’erano solo arabi e portoghesi. I miei nonni erano siriani, si stabilirono lì e aprirono un negozio. Mio padre aveva una farmacia al centro del paese, la vita culturale era vivace, l’ intenso passaggio di collegamento fra il sertao e São Luis, è lo stesso che ha sperimentato Tom Zè nella sua città a Bahia, Irarà. Ho pensato di scrivere una canzone su questo: il nome della mia città, Arari, è il palindromo della sua. Lui racconta come ha visto caboclos (meticci di indios e europei), matutos (abitanti della mata, del sertão), coloni, raccontare storie che hanno formato la sua immaginazione. A me è successo un po’ lo stesso: emboladores che suonano il pandeiro, improvvisando rime – quello che fanno i rapper oggi esisteva già da molto tempo – repentisti, suonatori di fisarmonica ciechi, felliniani. Io avevo una passione così grande per i ciechi che nel mio primo concerto aprivo con la fisarmonica cantando canzoni di ciechi, facendomi accompagnare dal figlio adolescente di un mio amico come se fossi cieco, così le persone finivano per credere che lo fossi davvero, e in platea dicevano “poverino”, e non sapevo come uscire da quella finzione, era persino pericoloso.. La musica di strada è stata la mia prima informazione musicale, poi è arrivata la radio, che a casa mia era sempre accesa. Suonava Peppino di Capri, Elton John, tutto, Adoniran Barbosa, Gal Costa, Luiz Melodia, Sergio Sampaio, Martinho da Vila,  Odair José. All’epoca la radio era molto più completa, ampia di oggi, meno frammentata: oggi hai un canale di samba, uno di pagode, uno di rap, uno di rock. All’epoca c’era la dittatura militare, ma non esisteva ancora quella del mercato, che in quel periodo si stava rafforzando fino a diventare quello che è oggi. A volte è una dittatura persino più forte: la dittatura militare ha generato cose incredibili, come Gonzaguinha, Milton Nascimento…

Quindi, dopo la stagione tropicalista, che aveva mescolato tutto, ora il mercato ha di nuovo diviso i generi? Si torna indietro?

Io non lo faccio, al contrario, cerco di mischiare il più possibile, per “embalar”, per confondere.. La radio per tutta la mia generazione è stata fondamentale, siamo tutti figli della radio, che era molto diversa…oggi non la ascolto più.

Hai suonato per il pubblico italiano senza proporre un set speciale, “da gringos”, come fanno molti altri, sembrava una proposta più “autentica”, e la scelta del repertorio, ugualmente non era tanto ovvia.

Per me è importante stabilire una relazione,che vada oltre lo show, dire cretinate, ridere: non è solo musica, è anche uno spettacolo di intrattenimento, bisogna riflettere ma anche divertirsi. E avevo tempo a sufficienza per mostrare un po’ i miei vari dischi.

La tua traiettoria, da São Luis a São Paulo?

E’ stata una lunga storia, la canzone nella novela della TV Globo (A Flor da Pele, con Gal Costa, 1997), 15 anni di sotterraneo, di inferno. Poi è arrivato il purgatorio, suonando prima nei bar di São Luìs, poi in Minas Gerais, a Belo Horizonte, dove abitavo, e infine a São Paulo, a produrre musiche di spettacoli per bambini, fino a riuscire a registrare. All’epoca sembrava una cosa impossibile, irraggiungibile: in studio? C’è Frank Sinatra… Oggi qualsiasi ragazzo ha il proprio studio in casa, questa facilità tecnologica ha cambiato tutto, nel bene e nel male. E’ più facile produrre, ma allo stesso tempo si coltiva l’illusione che attraverso la tecnologia tutto possa diventare buono, e non è vero, se non c’è la materia prima essenziale, che è l’artista, il creatore, non c’è tecnologia che salvi, puoi andare ad Abbey Road e non funzionerà lo stesso.



Hai anche un’etichetta discografica

Il lavoro della mia etichetta, la Saravà, è stato sempre in perdita, come mettere una pompa di benzina nel deserto del Sahara: è un’etichetta di dischi fisici nell’era del download, degli mp3. Ma va avanti, è un lavoro appassionato, c’è bisogno di produrre artisti differenti, io ho già fatto fin troppi dischi, posso anche non farne più…ho la sacca piena di nuove musiche, ma posso metterle su internet, non è necessario che ne faccia dei dischi, mentre voglio che artisti più nuovi, che ho scoperto, abbiano questa possibilità. Per quanto riguarda il Maranhão, non ho mai spezzato il legame con esso, ora sto partecipando alla produzione di un musicista di 60 anni di là, Joãozinho Ribeiro, un tipo brillante, non un grande cantante, ma un ottimo cantautore, un poeta incredibile.

Io non smetto mai di comporre, è il mio piacere maggiore. Il palco è fantastico, ma il piacere di comporre una musica nuova è per me incomparabile, mostrarla agli amici, alla famiglia … penso sia lo stesso per tutti i compositori, anche per un settantenne come Chico Buarque, perché ogni canzone è nuova, per quanto ripeta i cliché che ha ogni compositore. La scelta di tenerle per sé o darle ad altri è intuitiva, lo capisci quando la scrivi. Immagino anche moltissimo, quando compongo. Ho scritto tre pezzi per Nana Caymmi, che adoro, e non glieli ho mai mostrati, per timidezza.. magari lei un giorno mi chiama per chiedermi un pezzo, e io ce l’ho già pronto. La timidezza non mi ha mai lasciato, anche con Gal Costa, l’invito è partito da lei (per A Flor de Pele).  Ora ho un progetto per un disco di samba, a cui voglio invitare Martinho da Vila, che è mio amico e con lui non ho problemi, ma anche Paulinho da Viola, di cui non sono amico, e per me è un problema… Sto portando a termine un disco per bambini, con varie partecipazioni, Tom Zé, Bluebell, MC Gaspar, Fernanda Abreu, 28 pezzi di mia autoria, sarà in due volumi: canzoni su animali, giochi di parole, scherzi…lo chiamo la mia Arca di Noé, perché lo hanno già cantato gli MPB4, è stato molto emozionante. Uscirà con un dvd registrato dal vivo a Rio nel novembre  del 2012. Per la mia etichetta ho appena realizzato una raccolta di Wado, un compositore mio collaboratore che adoro e che è molto poco conosciuto, per la grandezza del suo talento. E ho appena lanciato un disco di Vanusa, una cantante che fece molte cose azzardate, e che ultimamente è tornata alla ribalta in maniera disastrosa per la sua interpretazione dell’Inno nazionale all’Assemblea legislativa di São Paulo, nel 20069,  che ha avuto migliaia di visualizzazioni su Youtube. Un disastro, lei stava male a causa degli antidepressivi che prendeva, mischiati all’alcool. Allora ho pensato di riunire un gruppo di amici per risollevare la sua carriera, lei è stata molto importante, e canta ancora bene, ha voce. In un’epoca molto difficile è stata una pioniera, cantando musiche femministe durante la dittatura. Negli anni 70 lanciava grida di liberazione femminile.. una figura importantissima in un ambito popolare, lontana dall’elite della MPB alla Chico Buarque. Anche Maria Alcina ha pubblicato un disco nuovo, per i 40 anni di carriera (“De normal bastam os outros”) ho scritto un pezzo per lei, “Eu sou Alcina”. Quella generazione è di grande ispirazione, oggi tutto sembra così più facile, ma sul piano comportamentale la gente è molto più sciocca, conformista, noiosa.. Ho una grande ammirazione per Wanderlea: portare quelle gambe in televisione, quando non lo faceva nessuno, era molto azzardato. Ho prodotto un disco di Odair José, il Johnny Cash del serrado … Caetano, per esempio, ha sempre difeso Odair José, ma non ha mai fatto nulla per lui. Arrigo Barnabé, è un genio ugualmente dimenticato, si trova in una fase meravigliosa, ora sta facendo un disco con Luiz Tatit.

Scrivi anche su carta e sul web

La mia attività di scrittore è cominciata in maniera del tutto casuale, in un momento che ero molto coinvolto in una faccenda che mi infastidiva. Se fosse penetrata nella musica, sarebbe diventata amara, e io voglio che la canzone, per quanto profonda, porti con sé leggerezza. Così ho cominciato a scrivere sul mio sito, rispondendo alle sollecitazioni del pubblico, mi è piaciuto, e non ho resistito alla tentazione di scrivere per la rivista … è durato cinque anni, ho smesso perché ero oberato di impegni, ed ora sto compilando un altro libro, che forse uscirà il prossimo anno. E’ una specie di hobby, qualcosa di distensivo, di differente dalla musica, perché posso affrontare forse questioni che non stanno in una canzone…sono testi leggeri, cronache, non ho la pretesa di essere scrittore. Un’altra cosa che vorrei fare nella vita è il cinema, magari in collaborazione con qualcuno, fare una regia…non so se avrò abbastanza vita per riuscire, ma mi piacerebbe.

versione integrale dell’intervista apparsa su Il Manifesto il 27 agosto 2014


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